Parole e xenofobia: i termini giusti per non razzializzare l'identità delle persone

Parole e xenofobia

Occorrono le parole giuste per non sembrare razzisti all’interno delle redazioni. La nazionalità non deve diventare uno strumento per “razzializzare e cancellare la competenza e l’identità della persona interessata”.

A scrivere l’articolo è Pasquale Quaranta, giornalista e attivista per i diritti civili. Oggi non basta prendere carta e penna ed esclamare: “Oh, ma che bell’articolo che ho scritto”. Perché scrivere, che si tratti di una bic o di una tastiera, assurge le parole ad atto sociopolitico. È importante usare i termini giusti nel marasma dell’attualità odierna. Dunque, così come sottolineato da questo pezzo nel Vanity Fair diretto da Michela Murgia, è inaccettabile, ad esempio, che su una prima pagina si appelli una persona, nonché un’economista, come un elemento da categorizzare.

Parole e xenofobia: la lunga strada per l’inclusione

Caldeggiamo fortemente quanto affermato e ci opponiamo ancora una volta a questa visione unilaterale della società.
Chi scrive nei giornali continua a pensare al lettore-tipo come bianco. La strada per l’inclusione è ancora lunga sia nella scrittura che nelle stesse redazioni. Infatti, quante persone di etnie diverse lavorano nelle redazioni?
“Occorrerebbe, sottolinea Pasquale Quaranta, una Carta deontologica arcobaleno intersezionale e un Ordine dei giornalisti pronto a discuterla e adottarla come parte integrante del Testo unico dei doveri dei giornalisti e delle giornaliste”.

Connect realizza progetti che abbiano come focus una comunicazione inclusiva. In tal senso, dai un’occhiata sul sito a “NIGERIA,PUNTO E A CAPO”: l’iniziativa volta a sovvertire il linguaggio giornalistico spesso stigmatizzante quando si tratta di rilanciare notizie di cronaca.