African stories special edition

Special Edition: Lino Bordin

Bisogna sceglierli con cura i posti da cui non andarsene. Lino Bordin dall’Africa non se n’è mai andato, quantomeno con il pensiero. Ora vive a Roma, ma ha vissuto vent’anni nel continente nero. Ha contribuito all’indipendenza della Namibia, ha lavorato con Nelson Mandela, ma fisicamente ora non tornerebbe più da quelle parti. Perché gli occhi hanno visto troppo e non c’è più spazio per questo Indiana Jones del servizio umanitario che racconta quelle zone senza retorica non tralasciando nessun ganglio politico – sociale. L’Africa non costituisce più il suo lavoro, bensì ha contribuito probabilmente a forgiare la sua persona.

Nato a Venezia, si è laureato in Scienze politiche all’Università di Padova nel 1948.

Dal 1980 al 2008 ha lavorato per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Una carriera itinerante tra un Paese e l’altro africano che lo ha portato a cambiare nazione ogni 3-4 anni. E’ stato anche in Congo tra il 1984 e il 1987 e nuovamente tra il 1994 e il 1997, durante la guerra. E poi ancora in Zimbabwe, Tanzania, Kenia, Angola, Somalia. Esperienze che ha riassunto nel suo libro “Il Continente Sprecato” a cura di Palombi Editori. Il risultato di questo volume è un affresco sincopato dell’Africa in cui si avvicendano dittatori, politiche negligenti e tradizioni che provocano sgomento. “Ho attraversato villaggi senza scuole, ospedali. Non sappiamo molto della vita da quelle parti, non conosciamo la quotidianità di chi s’impegna ogni giorno lì per mitigare i morsi della fame, della sete, le malattie principali. Le guerre”, racconta Bordin.

Si passa da immagini di violenza barbara ad attimi di profonda delicatezza in questo libro. Il senso del suo scrivere è che si scappa, ma esattamente da cosa? Una panoramica ben dettagliata ce l’aveva fornita anche, ahimè, il film “Io Capitano” di Matteo Garrone, tra le insidie del deserto e l’orrore dei centri di detenzione. “Noi abbiamo bisogno di immigrati. Si può trovare un equilibrio, l’ho visto in Francia, in Germania. La questione è che dopo il trattato di Dublino, si sono dovuti fermare in Italia, altrimenti se ne sarebbero già andati”, conclude perentorio.