Qualcuno potrebbe strabuzzare gli occhi, ma a Loretta Maffezzoni, 29 anni, non piacciono le parole integrazione, inclusione e tolleranza. La spiegazione è presto detta: per questa ragazza, fotomodella e aspirante giudice minorile, queste parole sottintendono un paradigma a cui aspirare. “È come se i bianchi decidessero quale sia il modello da integrare e cosa tollerare o meno”, racconta la giovane, con una laurea in giurisprudenza e un master di secondo livello in criminologia, indirizzo psicologia giuridica forense. Il suo ragionamento non fa una piega se si pensa all’integrazione come a un processo. Non è quindi uno stato di fatto, un contesto “puro” che un corpo estraneo rischia di contaminare. Sarebbe meglio usare coesione, reciprocità o accordo sulle relazioni umane. Insomma, per evitare termini semanticamente fuorvianti in quella che non è una scienza esatta, scegliere con cura le parole potrebbe essere il fine di chi le usa per professione.
Questo è l’obiettivo di Connect che inaugura settembre puntando a un nuovo confronto linguistico. “Extracomunitario è un termine utilizzato con accezione spregiativa. Le persone per caso ignorano che anche il magnate russo che parcheggia il suo panfilo in Sardegna è un extracomunitario?”, spiega Loretta. Guai poi a dire – ça va sans dire – “nazionalità africana”. L’Africa infatti è un continente con 54 Stati molto diversi tra loro. “Diresti mai ‘di nazionalità europea’? Meglio adoperare le espressioni afro-discendenti o persone con background migratorio” sentenzia la giurista. Un cambio di passo nella vita di Loretta è avvenuto nel 2019 quando ha denunciato gli insulti razzisti ricevuti sul web. La chiamarono sgranocchia banane, quanto basta per lasciarla interdetta e denunciare l’accaduto. Il caso venne archiviato. “Ho rinunciato a proseguire. Ho desistito perché all’epoca mi dicevano che i social non avrebbero mai reso noto il nome del colpevole. Con il Covid finì tutto nel dimenticatoio. Ora, grazie all’associazione African Fashion Gate che collabora con Ufficio Antidiscriminazioni Razziali-Presidenza del Consiglio dei Ministri (UNAR), ho ripreso la questione in mano”, spiega la ventinovenne. Una seconda tigre di Cremona (è nata a Pozzaglio ed Uniti) che non si arrende di fronte a nulla.
Loretta è nata da genitori di origine nigeriana. Fu poi mandata in affido all’età di 1 anno e in seguito adottata dalla stessa famiglia affidataria a 9 anni. Il suo nome e cognome d’origine sono stati mantenuti: Igomite Awow. È una donna sopraffina che aborrisce ogni stereotipo sulla sua vita e si impegna per scardinare quelli sugli altri. La sua passione per l’obiettivo ne è la prova, visto che spesso l’hanno additata come una velleità frivola. Lei, invece, si diverte ed è se stessa, a riprova del fatto che l’essere umano è poliedrico, con tante sfaccettature. Incasellare il tempo libero di un individuo, specialmente se donna, è il vezzo di chi crede che la vita sia fatta di compartimenti stagni. Loretta cerca la posa perfetta e intanto sogna di aiutare i minori che hanno bisogno di “essere visti” per non soccombere all’ansia della vita. È molto attiva anche nell’ambito dei diritti umani, civili e sociali. Infatti fa parte del progetto Generazione Cooperazione, finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. Per Loretta Igomite Maffezzoni Awow si dovrebbe quindi imparare a decostruire il razzismo interiorizzato (la c.d. white fragility): riconoscere di avere un privilegio in questo sistema-mondo e fare qualcosa per chi non ne ha.